Nella giornata dedicata al ricordo della tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata ricordiamo una ferita che troppo a lungo è stata rimossa e occultata.
Rievocare, oggi, ciò che è stato, significa guardare nella profondità di quelle fenditure senza chiudere gli occhi di fronte ai corpi gettati gli uni sugli altri – vivi e morti – di anziani e bambini uomini e donne che subirono indescrivibili umiliazioni e sofferenze nel nome di un aberrante disegno di epurazione.
Significa ripercorrere il cammino doloroso di oltre 300 mila persone costrette a lasciare le loro case, il loro lavoro e le proprie radici a seguito delle persecuzioni perpetrate dai miliziani di Tito, volte ad annientare ogni forma di opposizione al regime comunista jugoslavo e a cancellare l’identità italiana sul territorio di Venezia Giulia, Istria e Dalmazia.
Di fronte a tanto dolore, nel riaprire ferite che non si sono mai rimarginate, non possono esserci parzialità né strumentalizzazioni. Chiunque creda nella democrazia, nella libertà, nella convivenza civile, nel rispetto delle persone e della loro dignità, non può che rifiutare ogni forma di oppressione, di violenza e di estremismo nazionalista.
Quegli episodi tragici ci insegnano che l’odio, la vendetta e la discriminazione generano solo altro odio e violenza. Essi richiamano al dovere di coltivare la memoria per contrastare nel presente sacche di vergognoso negazionismo.
Ci ricordano, inoltre, come le ideologie dei regimi totalitari che in nome della superiorità dello Stato, del partito o di un presunto ideale, opprimono i cittadini, schiacciano le minoranze e negano i diritti fondamentali.
Su tutto questo dobbiamo riflettere con responsabilità e consapevolezza.
Solo così potremo rendere un omaggio sincero alle famiglie spezzate, alle ragazze e ai ragazzi che non hanno potuto
realizzare i propri sogni, a tutti gli italiani che sono stati, per troppi anni, profughi nel loro stesso Paese.
Non dimentichiamoli mai.
